Le micotossine sono sostanze prodotte da alcuni ceppi fungini, in quanto risultano metaboliti secondari delle attività vitali. In genere sono prodotte in piccole quantità, ma risultano tossiche per l’uomo anche a basse dosi e possono contaminare molte derrate alimentari.
Le muffe tossigene, responsabili della produzione delle principali micotossine di interesse alimentare, sono in genere ubiquitarie e si possono trovare nel terreno, sul materiale vegetale e nei locali di stoccaggio.
Tra le fonti alimentari che possono portare all’assunzione della tossina vi sono i cereali, i legumi, il vino, la birra, i semi di cacao ed il caffè, ma anche alimenti di origine animale, quali ad esempio le carni suine.

Spiga sana a sinistra e colpita da muffe tossigene di Fusarium (a destra).

In condizioni favorevoli al loro sviluppo, le muffe tossigene possono svilupparsi e formare micotossine in una qualunque delle fasi che determinano la filiera produttiva di un alimento. Più in particolare, le micotossine dei substrati vegetali possono essere formate sia in pre-raccolta e raccolta nelle colture infette, sia in post-raccolta nelle derrate immagazzinate, trasportate e nel corso delle preparazioni alimentari.
Le muffe che si sviluppano prevalentemente nelle fasi antecedenti la raccolta, definite muffe di campo, preferiscono contenuti di umidità del substrato piuttosto elevati (>20 – 22%) e appartengono ai generi Fusarium e Alternaria, mentre le muffe di magazzino (termine con cui si identificano le muffe il cui sviluppo è tipico delle fasi post-raccolta) sono capaci di accrescersi  con contenuti di umidità più bassi e appartengono prevalentemente ai generi Aspergillus e Penicillium.

Immagine al microscopio ottico di Fusarium.

Immagine al microscopio ottico di Alternaria.

Considerato che quasi tutti i prodotti vegetali sono idonei per la crescita di muffe tossigene, la formazione di micotossine nelle piante infette e nelle derrate alimentari ammuffite è un’eventualità incombente che porta spesso all’accumulo in esse di micotossine ed al loro ritrovamento negli alimenti. Vi sono tuttavia prodotti che sia per la loro natura intrinseca, sia per la maggiore predisposizione delle aree di produzione, sono più di altri soggetti a contaminazione.
Le micotossine, risultano, inoltre, molto stabili e persistono nei prodotti contaminati anche per molto tempo dopo la morte del fungo produttore. Infatti, le micotossine non vengono completamente distrutte o allontanate con i normali processi fisici, chimici e biologici impiegati dalle industrie alimentari. Pertanto le stesse micotossine o loro derivati ancora attivi si possono trovare negli alimenti ottenuti con ingredienti contaminati e nei prodotti della fermentazione (vino, birra, sidro, yogurt). In particolare, le micotossine non vengono degradate dal processo di fermentazione, per questo la presenza dell’Ocratossina nei cereali può causare il ritrovamento della tossina nella birra.

Immagine al microscopio ottico di Penicillium.

Immagine al microscopio ottico di Aspergillus.

Il composto micotossicologicamente più importante tra le nove ocratossine conosciute è l’Ocratossina A, che associa nella propria struttura la fenilalanina alla cumarina, risultando abbastanza stabile nel tempo ed al calore.
Solo l’OTA sembra essere dotata di notevole attività tossica. L’OTA è essenzialmente una nefrotossina, ma in relazione alla dose, alla specie animale ed alla sensibilità individuale, può esplicare anche attività immunotossica, cancerogena e genotossica e, ad elevate presenze nella dieta (5 – 10 ppm), può determinare anche la comparsa di epatiti, enteriti e necrosi del tessuto linfatico. L’OTA inibisce la sintesi proteica e tale attività è più elevata nelle cellule renali rispetto alle cellule epatiche. Inoltre, può esplicare anche fenomeni di tossicità acuta legata all’insorgenza di nefropatie in quanto l’OTA presenta un’elevatissima affinità di legame con alcune siero-albumine del sangue, con le quali forma dei composti molto stabili.

Formula chimica dell’Ocratossina A.

Si suppone essere cancerogena  dal Centro Internazionale per la Ricerca contro il Cancro ed è stata classificata nella classe 2B (gruppo dei cancerogeni per gli animali e possibili cancerogeni per l’uomo): i saggi di cancerogenicità condotti su animali di laboratorio hanno messo in evidenza l’insorgenza di adenomi e carcinomi renali e lo sviluppo di tumori epatici.
Inoltre, le diverse osservazioni condotte su cavie hanno dimostrato che l’OTA possiede attività embriotossica, fetotossica, teratogena, mentre è risultata irrilevante l’azione mutagena
Per l’uomo, la DGA (dose giornaliera accettabile) è estremamente bassa: si colloca tra 0,3 – 0,89 mg/die, mentre la tossicità acuta varia secondo gli individui tra 12 e 3000 mg (valori riferiti ad un soggetto maschile di 60 Kg di peso corporeo. La LD50 per via orale varia, invece, da 0,2 a 50 mg/Kg di peso.

I cereali rappresentano la fonte principale di ingestione di OTA per l’uomo, contribuendo per il 45 – 50% del consumo giornaliero. Le contaminazioni del vino e della birra, rappresentano un reale rischio per i grandi consumatori abituali di alcolici, per i quali costituiscono una non trascurabile percentuale dell’assunzione giornaliera di OTA (10 – 20%).
I consumatori non hanno comunque da temere in merito alla pericolosità dell’OTA contenuta nel cibo, in quanto i limiti di presenza di Ocratossina A negli alimenti, e quindi nella birra, sono strettamente fissati a livello europeo dal reg. CE 123/05 della Commissione del 26/01/05 e successive modificazioni ed integrazioni.
Nel documento si fa riferimento ai precedenti reg. CE 315/93, che stabilisce procedure comunitarie relative ai contaminanti nei prodotti alimentari, e al reg. CE 466/01, che fissava e prevedeva la necessità di riesaminare ed aggiornare le disposizioni sull’OTA riguardo uva passita, caffè crudo e torrefatto, vino, birra, succo d’uva, cacao, spezie e derivati.
Da numerosi studi, quindi in base allo stato delle conoscenze attuali,  è possibile affermare che la totalità dell’OTA presente nella birra deriva dai cereali, mentre si ritiene inesistente il rischio di contaminazione durante le fasi di trasformazione. Viceversa, si è notato un’evoluzione al ribasso dei tenori di OTA in funzione delle pratiche tecnologiche applicate durante la birrificazione, che consentono una diminuzione importante dei tenori di contaminazione rispetto ai valori rilevati nei mosti. La birra, risulta peraltro, tra gli alimenti con il minor livello di contaminazione da OTA: